Il franchising è una tipologia contrattuale che, nata negli Stati Uniti alla fine dell’800, si è diffusa in tutto il mondo ed oggi rappresenta una delle formule commerciali più utilizzate nella distribuzione commerciale di prodotti e servizi. Anche in Italia, la formula del franchising gode di un crescente successo ed in è espansione costante.
A cura dell’Avv. Valerio Pandolfini, Studio Legale Pandolfini
Basti pensare che, negli ultimi venti anni, le reti in franchising sono quadruplicate, ed anche negli ultimi anni, contrassegnati dalla crisi economica, il numero delle reti in franchising è notevolmente cresciuto, come pure e il giro d’affari del settore.
I vantaggi della formula del franchising sono ampiamente noti, sia per il franchisor che per il franchisee. In estrema sintesi, l’azienda franchisor può sviluppare e radicare la propria presenza attiva sul mercato, migliorando e intensificando la distribuzione dei propri prodotti e servizi e valorizzando il proprio marchio in modo più efficace e meno costoso rispetto ai canali di distribuzione tradizionali o punti di vendita diretti. L’affiliato in franchising d’altra parte ha la possibilità di usufruire delle opportunità di guadagno derivanti dall’inserimento in una rete distributiva già collaudata e dalla possibilità di utilizzare un marchio e un patrimonio di conoscenze ed esperienze imprenditoriali (know-how), riducendo notevolmente i costi e i rischi insiti nell’avviamento di un’impresa autonoma.
Eppure, non è tutto oro ciò che luccica. A fronte della grande rilevanza ormai assunta dal franchising nel contesto economico italiano, le reti in franchising sono caratterizzate da una elevata e crescente conflittualità, che a sua volta produce un notevole contenzioso. Da dove sorgono le principali criticità nel franchising?
E’ opportuno muovere da un dato strutturale, che rappresenta una specifica peculiarità del franchising: la forte limitazione di autonomia imprenditoriale che generalmente subiscono gli affiliati (franchisee) e l’accentuata situazione di dipendenza, giuridica ed economica, in cui gli stessi si trovano nei confronti dell’affiliante (franchisor). Infatti, l’affiliato in franchising, pur esercitando un’attività commerciale autonoma – per la quale risponde in proprio ed è soggetto al rischio d’impresa come qualunque altro imprenditore – è in realtà meno autonomo di qualunque altro imprenditore commerciale, a causa dei vincoli, previsti nel contratto di franchising, che condizionano notevolmente la sua attività, le sue decisioni e, quindi, i suoi risultati.
Tale limitazione di autonomia imprenditoriale – che a sua volta si traduce in una restrizione della concorrenza – è, sotto il profilo giuridico, assolutamente legittima, in quanto funzionale a garantire l’uniformità all’interno della rete, che costituisce un fattore di essenziale importanza per il successo della rete stessa. Tuttavia, ciò produce una situazione di squilibrio tra le parti, che a sua volta può dare luogo ad abusi della parte forte (il franchisor) nei confronti della parte debole (il franchisee).
Basti pensare, ad esempio, alle clausole contrattuali che attribuiscono al franchisor il diritto di assumere una serie di decisioni in ordine alla politica commerciale del franchisee e il correlativo obbligo di quest’ultimo di uniformarsi a direttive del franchisor, o a quelle che obbligano il franchisee ad approvvigionarsi di beni o servizi esclusivamente dal franchisor o da fornitori da questi imposti, o, ancora, che attribuiscono al franchisor un diritto di prelazione in caso di cessione di azienda o di quote di capitale, con collegato diritto al gradimento del terzo interessato all’acquisizione, e così via.
Tale aspetto è accentuato dal fatto che la L. n. 129/2004 sull’affiliazione commerciale regolamenta quasi esclusivamente i requisiti formali e la fase pre-contrattuale – prevedendo una serie di obblighi informativi a carico del franchisor – e non disciplina invece lo svolgimento del rapporto di franchising, che resta in tal modo rimesso pressoché interamente alla autonomia contrattuale delle parti, e quindi soggetto allo squilibrio economico-giuridico cui si è accennato.
Ma vediamo, in estrema sintesi, le aree maggiormente critiche e in relazione alle quali più frequentemente si registra una conflittualità nell’ambito dei rapporti di franchising.
Una prima area critica è costituita dalle informazioni pre-contrattuali. La L. n. 129/2004 prevede infatti l’obbligo del franchisor di consegnare all’aspirante affiliato, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione del contratto di franchising, la copia completa del contratto stesso, corredato da una serie di informazioni riguardanti la rete, gli affiliati esistenti nella rete, il contenzioso nella rete etc. Ciò allo scopo di colmare il gap informativo tra le parti e di consentire al potenziale affiliato una decisione informata e consapevole.
Tuttavia, a dispetto di quanto previsto dalla legge, vi sono casi in cui all’affiliato non viene fornita una informazione adeguata, o vengono fornite informazioni erronee o ingannevoli. In questi casi, la giurisprudenza ha accordato una serie di tutele all’affiliato, che ha diritto di ottenere l’annullamento del contratto e il risarcimento dei danni. In ogni caso, è opportuno che l’affiliato si avvalga in sede di trattativa con il franchisor di un supporto professionale adeguato, in modo da acquisire tutti gli elementi utili prima della firma del contratto.
Un secondo profilo di criticità risiede nelle previsioni di redditività (business plan) che generalmente vengono consegnate dal franchisor all’aspirante affiliato, e sulle quali quest’ultimo ripone affidamento decidendo di affiliarsi. Spesso il business plan contiene dati erronei, se non addirittura falsi (ad esempio perché non tiene conto della realtà territoriale e di mercato in cui l’affiliato eserciterà la propria attività); di conseguenza il franchisee non acquisisce informazioni veritiere circa l’effettivo probabile andamento della propria attività.
In questi casi, la giurisprudenza non prevede tutele per l’affiliato, in quanto il business plan non entra a far parte del contratto e quindi non espone il franchisor a responsabilità, tranne ipotesi (abbastanza eccezionali) in cui si riesca a dimostrare il ricorrere di un vero e proprio dolo ai danni dell’affiliato. Ciò anche perché l’affiliato in franchising risponde interamente della propria attività, in quanto imprenditore soggetto al rischio d’impresa. Tuttavia, qualora siano ravvisabili gli estremi della pubblicità ingannevole, può intervenire efficacemente l’AGCM sanzionando il franchisor. Fermo restando che, anche in questo caso, è ampiamente preferibile per l’affiliato farsi assistere da esperti del settore in fase di valutazione dell’affiliazione proposta.
Altro elemento critico nell’ambito del franchising è costituito dal Know-how. Il know-how è, come noto, un elemento di fondamentale importanza nel contratto di franchising, in quanto dovrebbe consentire all’affiliato di godere in modo stabile di un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza; in quanto tale, esso è regolamentato dalla L. n. 129/2004, che ne prevede specifici requisiti, in modo da evitare che l’affiliato si trovi a corrispondere al franchisor una entry fee iniziale e successive royalties a fronte di una scatola vuota (empty box).
Può invece verificarsi che il know-how trasmesso dal franchisor al franchisee si riveli insufficiente, o addirittura del tutto inesistente; ad esempio, può accadere che la formazione impartita sia evanescente, o che il manuale operativo sia nient’altro che il riassunto di informazioni di facile reperibilità sul web. Ciò naturalmente sui ripercuote direttamente sull’efficacia e sul successo dell’attività dell’affiliato all’interno della rete. Nonostante l’importanza di tale elemento, la Cassazione ha recentemente negato tutela all’affiliato in caso di carente o inesistente Know-how. Anche per tale ragione, è consigliabile che l’affiliato valuti attentamente se e quale Konw-how gli viene fornito dal franchisor, avvalendosi di un esperto.
Un’altra area foriera di elevata conflittualità nei rapporti di franchising è costituita dallo scioglimento del contratto. Si tratta di un fase particolarmente delicata, dato che in tale fase gli interessi delle parti, che durante il contratto tendevano a convergere, diventano spesso contrastanti. In particolare, può accadere che l’affiliato abbia interesse ad interrompere, prima del termine di durata contrattuale, un rapporto divenuto eccessivamente oneroso o comunque non redditizio; tuttavia generalmente non è prevista nel contratto la possibilità di un recesso anticipato da parte del franchisee, o se è previsto allo stesso sono collegate penali. In questo caso, la giurisprudenza non prevede la possibilità per l’affiliato di recedere anticipatamente, dal contratto, se non in presenza di inadempimenti rilevanti da parte del franchisor.
Infine, un’altra area di criticità è rappresentata dall’inadempimento di obblighi previsti dal contratto di franchising. Per quanto concerne l’affiliato, l’inadempimento prevalente è quello consistente nel mancato pagamento delle royalties (o dei prezzi di acquisto dei prodotti). Sul versante del franchisor, invece, i principali obblighi che possono essere disattesi si riferiscono alla formazione (iniziale e/o continuativa) e ai servizi forniti agli affiliati (in sede di start up o continuativi). In questi casi, la giurisprudenza riconosce la risoluzione del contratto, con risarcimento del danno in favore della parte che è stata vittima dell’inadempimento altrui.
Fonte: https://www.assofranchising.it/blog-principale/vantaggi-e-criticita-del-franchising-alla-luce-della-l-n-129-2004-sul-franchising-e-della-casistica-giurisprudenziale.html