La realtà italiana del Franchising, se messa a confronto con altre nel panorama internazionale, mostra dati a dir poco insoddisfacenti. Un aspetto critico è quello relativo alla presenza di franchisor italiani all’estero che è, con pochissime eccezioni, molto rarefatta.
Di Luca Fumagalli – Senior Franchise Consultant – Co-founder Affilya
Come Italiani siamo riconosciuti nel mondo per le 3 F (Fashion, Furniture, Food), ma sono sporadici i casi di marchi di eccellenza nazionale che abbiano saputo diffondersi a livello globale, con reti distributive consolidate.
Al contrario, proprio in quei settori dove dovremmo eccellere ci sono centinaia di franchisor stranieri che ci surclassano, con catene da migliaia di unità sparse per il mondo. Al di là della propaganda, è un fatto innegabile che il settore in Italia sia ancora quantitativamente piccolo e per certi versi molto arretrato.
Il tasso di penetrazione del franchising italiano è decisamente inferiore a quello di altri Paesi.
Da noi il settore sviluppa 25 miliardi di euro fatturato, con poco più di 900 sistemi franchising operativi e circa 50.000 affiliati.
Diversa è la situazione in altri Paesi Europei.
In Francia il settore genera 62 miliardi di € di fatturato, con circa 2.000 franchisor e più di 75.000 franchisee.
In UK il fatturato è inferiore a quello italiano (20 miliardi circa), il numero di affilianti è simile al nostro (930), come pure quello degli affiliati (poco meno di 50.000). Ciò che cambia è la solidità del sistema, come dimostra la diversa concentrazione di operatori: il 36% degli affiliati è multiunit, ovvero possiede più unità in franchising. Inoltre, Paesi molto più piccoli dell’Italia mostrano numeri simili ai nostri.
Nella piccola Svezia operano circa 800 sistemi franchising e 34.000 Franchisee con un fatturato di oltre 27 miliardi. In Olanda, con 17 milioni di abitanti, ci sono tanti franchisor quanti in Italia, con circa 35.000 affiliati.
A fronte di una potenzialità di crescita a doppia cifra e ad illimitate opportunità internazionali, il settore del franchising in Italia stenta, dopo aver retto non senza difficoltà la crisi del 2008.
Analizzando il quadro della nostra situazione interna, non è difficile comprendere i motivi di questo modesto sviluppo.
Le fiere di settore, che dovrebbero essere il motore dello sviluppo, sono lo specchio della situazione non particolarmente brillante. Da quattro sono diventate due, ma il movimento non ne ha tratto giovamento.
Quella più rappresentativa, la fiera del franchising di Milano, propone di anno in anno una moltitudine di format deboli, alcuni addirittura in fase di start up, spesso con poche prospettive di sostenibilità economica e quasi sempre senza i minimi requisiti commerciali e di legge. Format che, puntualmente, spariscono di scena all’edizione successiva. I brand veramente affermati sono pochi e anch’essi scompaiono dal Salone dopo qualche timida apparizione, per poi magari ricomparire a distanza di qualche anno, al primo cambio di management. La nota più dolente è tuttavia rappresentata dall’affluenza, mai entusiasmante negli ultimi anni e composta inoltre, per una larga fetta, da addetti ai lavori, consulenti o fornitori.
Non va meglio sul versante delle associazioni di categoria: ce ne sono ben quattro, a contendersi uno spazio molto piccolo con iniziative sempre in concorrenza e raramente in grado di incidere positivamente sul settore.
Altro capitolo critico è quello dei finanziamenti. In altri Paesi, UK su tutti, il franchising rappresenta una garanzia per il sistema bancario perché considerato, a ragion veduta, un sistema che riduce i rischi per gli imprenditori affiliati. Da noi il sistema bancario latita e mancano controparti specializzate nel finanziare il franchising sia dal lato delle aziende affilianti che da quello degli affiliati. Come dimostrano alcune recenti operazioni, i fondi di investimento e gli investitori istituzionali entrano solo quando i giochi sono fatti, magari strapagando il franchisor (e persino i franchisee) in fase di acquisizione, ma senza comprendere a fondo e sposare le dinamiche virtuose del franchising.
Questa situazione è probabilmente figlia di un passato a luci e ombre e di una modesta conoscenza della formula del franchising, delle sue effettive potenzialità, delle sue corrette applicazioni.
E’ un fatto che molti brand nostrani (anche affermati), che dichiarano di svilupparsi attraverso la formula del franchising, non rispondono ai requisiti minimi internazionalmente riconosciuti.
Da qui la difficoltà dei potenziali franchisee a trovare risposte adeguate alle loro legittime richieste di informazione (spesso addirittura le candidature non vengono nemmeno processate).
In alcuni casi poi il franchising viene usato solo per scaricare sui franchisee inefficienze dei format, oppure per tenere in vita unità improduttive attraverso lo strumento dell’auto-occupazione.
Infine, ci sono aziende che interpretano il franchising come un modo per incassare fee d’ingresso in una logica “vendi e scappa”, e non per generare royalty da una collaborazione win win con i propri affiliati.
Se dal lato dell’offerta le problematiche sono evidenti, dall’altra parte non mancano difficoltà e storture.
La scarsa conoscenza della formula colpisce anche i potenziali franchisee: pochi sono preparati, imprenditorialmente e finanziariamente, a valutare l’avvio di una attività in franchising.
Così, a parte poche illuminate eccezioni, il franchising italiano rimane rappresentato da reti di microimprese con caratteristiche marginali e/o di auto-occupazione.
Ecco perché si sente dire – anche da imprenditori affermati- che il franchising non funziona e che le reti dirette hanno maggiori possibilità di successo (dato sconfessato, almeno in alcuni settori, da clamorosi flop).
Ecco perché molti brand che applicano la formula usano il termine franchising con molta reticenza.
La realtà è molto più semplice: le aziende che impostano male il proprio sistema di franchising non possono funzionare. Viceversa, numerose case history dimostrano che chi utilizza con competenza questo strumento può ottenere grandi risultati anche nel nostro Paese.
In più, franchisor di tutto il mondo, con reti da migliaia di unità affiliate, confermano che il franchising, a livello globale, prospera tranquillamente…