La diffusione del Coronavirus COVID-19 e l’adozione di provvedimenti governativi urgenti per il suo contenimento – in particolare, per effetto dei DPCM dell’8, 9, 11 e 22 marzo 2020 – stanno avendo un fortissimo impatto economico su tutte le imprese. Le difficoltà che tale inedita situazione crea alle imprese sono gravi e molteplici.
A cura dell’Avv. Valerio Pandolfini, Studio Legale Pandolfini
Anzitutto, l’epidemia ha messo in difficoltà gli operatori, incidendo direttamente sulla salute di dipendenti e collaboratori o impedendo loro di svolgere la normale attività lavorativa (che non sempre, o comunque non con la stessa efficacia, può essere resa a distanza, con modalità smart working).
In secondo luogo, i DPCM hanno impedito a buona parte dei settori commerciali di svolgere l’attività, imponendo la chiusura degli esercizi commerciali al pubblico.
Infine, i medesimi provvedimenti hanno imposto una serie di restrizioni sempre più stringenti alla libertà di circolazione delle persone (impedimento di spostamenti, rallentamento dei trasporti etc.) determinando un drammatico calo, per non dire azzeramento, della domanda di consumo di beni e servizi in moltissimi settori.
Naturalmente, anche il mondo del franchising non è immune da tale emergenza, ed anzi ne è investito in pieno, in tutti i moltissimi e variegati settori nei quali l’affiliazione commerciale viene ormai utilizzata.
Come possono comportarsi gli affiliati in franchising in questa drammatica situazione?
Sotto il profilo strettamente giuridico, l’emergenza in atto ha un diretto impatto sugli adempimenti contrattuali all’interno delle reti in franchising, in quanto può rendere impossibile, almeno temporaneamente, l’esecuzione di prestazioni (consegna di merci, prestazione di servizi etc.), o, comunque, può ritardare l’esecuzione delle prestazioni oltre i termini contrattualmente stabiliti, oppure rendere eccessivamente onerose le prestazioni contrattuali.
Ciò avviene in una duplice direzione:
- per un verso, con riferimento agli obblighi contrattuali che i franchisors hanno nei confronti degli affiliati in franchising (si pensi alla consegna di prodotti, all’espletamento di servizi di assistenza e formazione, etc.);
- per l’altro verso, con riferimento agli obblighi contrattuali che gli affiliati in franchising hanno nei confronti del franchisor (si pensi al pagamento delle royalties, all’acquisto di prodotti, etc.) e nei confronti dei clienti esterni (si pensi alla vendita di prodotti, all’effettuazione di servizi, etc.).
I provvedimenti per l’emergenza sanitaria come esimente da responsabilità
I recenti provvedimenti emergenziali rientrano nella fattispecie del c.d. “factum principis”, cioè un’ipotesi di forza maggiore che ricorre quando determinati provvedimenti, emanati dopo la conclusione del contratto per interessi generali (come appunto la tutela della salute pubblica), ed imprevedibili al momento della loro adozione, rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione della prestazione, in modo temporaneo o definitivo, indipendentemente dalla volontà dei soggetti obbligati.
Pertanto i provvedimenti adottati per l’epidemia Coronavirus costituiscono, in termini generali, causa di esonero della responsabilità da inadempimento contrattuale, a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere, per entrambi i soggetti, ovvero sia per i franchisors che per gli affiliati in franchising, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1256 c.c. Fermo restando che gli stessi saranno tenuti ad eseguire la prestazione nel momento in cui la causa dell’impossibilità cesserà, sempre che la stessa sia divenuta priva di utilità per la controparte.
Ciò è stato confermato dal DL n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. decreto “cura Italia”), il quale, all’art. 91, prevede che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”
Peraltro, occorre verificare, caso per caso, se l’entità e la durata delle misure restrittive adottate per limitare la diffusione del Coronavirus sia effettivamente tale da rendere impossibile estinguere l’obbligazione, tenuto conto di tutte le ragionevoli misure di diligenza che i soggetti devono comunque adottare per cercare di rendere possibile l’adempimento e di mitigare i ritardi (come ad es. lo smart working).
Diverso è il caso in cui la situazione emergenziale e i relativi divieti governativi rendano una prestazione contrattuale non impossibile, ma eccessivamente onerosa, ovvero molto più costosa. In questo caso, vi è la possibilità che si verifichi l’ipotesi della eccessiva onerosità (art. 1467 c.c.), che provoca la risoluzione del contratto quando vi sia un avvenimento straordinario ed imprevedibile (come è appunto l’emergenza in atto) che imponga all’obbligato un sacrificio economico tale da eccedere la normale alea del contratto
In questo caso, a differenza dell’impossibilità, non si ha un effetto liberatorio automatico per il debitore, in quanto – in assenza di accordo tra le parti – occorre che la parte la cui prestazione sia diventata eccessivamente onerosa domandi la risoluzione del contratto in giudizio, e il Giudice, in base alla propria valutazione, accerti e dichiari la risoluzione. L’altra parte può evitare la pronuncia di risoluzione, offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Cosa possono fare gli affiliati in franchising nell’emergenza sanitaria?
Come abbiamo visto, l’emergenza Coronavirus rappresenta un’esimente da responsabilità per gli affiliati in franchising.
Ciò significa che gli affiliati a una rete in franchising il cui esercizio commerciale (negozio, punto vendita) sia stato chiuso per legge, essendo impossibilitati temporaneamente ad esercitare la propria attività e quindi trovandosi in una situazione di obiettiva difficoltà economica, possono legittimamente chiedere al franchisor una sospensione o dilazione dei pagamenti diretti a quest’ultimo (royalties, prezzi di acquisto della merce, etc.) finché dura la situazione di impossibilità (cioè di chiusura del PV), e il franchisor non può opporsi a tale richiesta. Ciò soprattutto, e in particolare, quando lo stesso franchisor non sia a sua volta in grado di adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali a causa della situazione di emergenza (consegna merce, servizi etc.).
Inoltre gli affiliati, qualora la situazione di impossibilità (cioè di chiusura del PV) si prolunghi per molto tempo, con conseguente deterioramento irreversibile della propria situazione economica, sono legittimati ad esercitare il recesso dal contratto, e quindi chiudere il PV, senza alcuna responsabilità né obbligo di pagamento di penali, e indipendentemente dal fatto che tale facoltà sia prevista nel contratto di franchising. Ciò soprattutto qualora il franchisor non ottemperi alla richiesta di sospensione/dilazione dei pagamenti, o lo faccia in misura insufficiente, e/o quando non sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali.
Ma anche i affiliati a una rete in franchising il cui esercizio commerciale possa ancora restare aperto per legge, subendo comunque una forte contrazione economica derivante dal repentino e drammatico calo di domanda, possono esercitare le stesse facoltà sopra indicate nei confronti del rispettivo franchisor, sia pure in questo caso con maggiore attenzione, e con distinguo da effettuare caso per caso, in relazione alle specificità dell’attività svolta e sempre in rapporto alle eventuali impossibilità ad adempiere da parte del franchisor stesso.
Il comportamento che il franchisor assumerà di fronte ad una simile situazione di emergenza costituisce un po’ la cartina tornasole della solidità e serietà della rete in franchising. Le reti solide e serie faranno di tutto per limitare il più possibile ritardi, disagi e disservizi ai propri affiliati, e adotteranno un approccio lungimirante, collaborativo e di sostegno ai propri affiliati, considerandoli – come dovrebbe essere – il loro asset più prezioso. Viceversa, le reti meno serie e solide si arroccheranno a difesa, abbandonando i franchisee al loro destino.
Al contempo, tuttavia, gli affiliati – indipendentemente dal supporto che ricevano dal franchisor – hanno il preciso onere di attivarsi per minimizzare, con la massima diligenza e nei limiti del possibile, gli effetti negativi dell’epidemia sulla loro attività. Pertanto, hanno l’obbligo di proteggere la salute dei propri dipendenti e collaboratori, permettere loro ove possibile di lavorare a distanza, pianificare strategie alternative per la fornitura di beni o servizi, mantenere una comunicazione positiva con i clienti per non azzerare la brand reputation, etc.
Non solo. Gli affiliati hanno anche l’onere di attivarsi per cercare di sospendere o ridurre i costi che sostengono in questo periodo di emergenza, in primis i canoni di affitto di azienda o di locazione commerciale dei locali in cui svolgono l’attività.
Per quanto concerne i contratti di affitto di ramo d’azienda, la sospensione forzosa delle attività rende di fatto impossibile la prestazione principale dell’affittante, consistente appunto nella messa a disposizione di un complesso di beni e rapporti giuridici organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa. Pertanto, gli affiliati che, avendo sottoscritto un contratto di affitto di azienda (si pensi ad esempio ai centri commerciali) non possono esercitare la propria attività per effetto dei DPCM, possono legittimamente non corrispondere il canone di affitto, per tutto il periodo di chiusura dell’attività.
Per quanto concerne invece i contratti di locazione commerciale, il discorso è più complesso; ma anche in questo caso è ragionevole ritenere che, se per effetto della sospensione dell’attività disposta dai DPCM, gli affiliati non possano fruire dei locali in cui esercitavano l’attività stessa, gli stessi possano interrompere il pagamento dei canoni dovuti nel periodo di durata dei provvedimenti di sospensione.
Diverso è il caso in cui l’attività degli affiliati non sia stata sospesa per legge – pensiamo agli esercizi commerciali che rientrano nelle eccezioni alla sospensione generalizzata – e continuino quindi a fruire dei locali condotti in affitto o locazione, ma abbiano subìto una diminuzione più o meno forte della loro redditività’, per effetto delle restrizioni alla circolazione dei clienti e delle modalità di fruizione dell’immobile.
In questi casi, una sospensione del canone non è sostenibile, ma è comunque possibile cercare di rinegoziare, almeno temporaneamente, il canone con il proprietario dell’immobile, invocando ad esempio la difficoltà di applicare le misure relative al mantenimento delle distanze di sicurezza tra i clienti in relazione alle caratteristiche intrinseche dell’immobile, o comunque una situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta.
In ogni caso, è preferibile che in questa situazione di emergenza, gli affiliati non si approccino da sé al franchisor o al proprietario dei locali condotti in affitto o locazione, ma si facciano seguire e consigliare da uno studio legale esperto e specializzato in franchising, che saprà condurre in modo celere ed efficace le opportune trattative, aumentando le chance di positivo accordo e riducendo i rischi.