Una delle definizioni più largamente condivise di Sviluppo Sostenibile è quella contenuta nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo: “Lo sviluppo sostenibile … è un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con quelli attuali.”
Di Luca Fumagalli – Senior Franchise Consultant – Co-founder Affilya
Il percorso ideale passa attraverso il rispetto di tre componenti fondamentali: la sostenibilità economica, che riguarda la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione del pianeta; la sostenibilità sociale, che vuole garantire condizioni di benessere (sicurezza, salute, istruzione, democrazia, partecipazione, giustizia) equamente distribuite tra le persone di ogni genere ed estrazione; la sostenibilità ambientale, intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali per le future generazioni.
“Programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità”
L’ Agenda 2030, “programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità” sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU ha indicato 17 Obiettivi per lo sviluppo e 169 sotto obiettivi, ovvero traguardi ad essa associati, tutti fortemente interconnessi e oramai indifferibili. Una delle caratteristiche più importanti di questo processo è il fatto che vede coinvolti tutti: governi e parlamenti, il sistema delle Nazioni Unite e delle altre istituzioni internazionali, autorità locali, le popolazioni di ogni Paese, la società civile, le imprese e il settore privato, la comunità scientifica ed accademica e tutte le persone. In questo sforzo collettivo ognuno è tenuto a fare la propria parte e non si può certo chiamare fuori chi si occupa di franchising. Le reti di affiliazione hanno infatti un impatto importante sull’economia nazionale, sui singoli settori, sulla produzione e sulla distribuzione di prodotti, sull’erogazione di servizi, sull’occupazione e sul benessere economico delle persone, sui consumatori e sui consumi, sulla società nel suo quotidiano evolversi. Scorrendo la lista dei vari Obiettivi, quello che riguarda più direttamente questa formula è l’Obiettivo 8: “Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”.
Nel sistema franchising ciò si traduce in comportamenti pratici di immediata applicabilità. Si tratta, per esempio, di dare spazio a quelle imprese affilianti che hanno una visione di lungo periodo del business e che intendono raggiungere i propri risultati economici insieme ai loro affiliati, non sulla loro pelle e su quella dei loro dipendenti. Sappiamo come talvolta questo non accada: ci sono aziende che vedono nel franchising un mezzo per scaricare a valle attraverso il sell-in le loro difficoltà di vendita, altre che usano il pretesto del franchising per finanziare le loro improbabili idee, altre ancora che operano in un logica di “mordi e fuggi”, con l’unico scopo di incamerare fee d’ingresso e poi mollare il malcapitato affiliato in mezzo ai suoi guai. Il mondo del franchising, nello specifico quello italiano, deve finalmente riuscire a fare piazza pulita da pseudo-franchisor e dilettanti allo sbaraglio, per concentrarsi su franchisor solidi, dal know-how sperimentato e vincente, in grado di competere sia sul mercato interno che a livello internazionale. La missione di queste aziende affilianti deve essere quella di far crescere tante imprese affiliate di successo, supportandole nel loro avvio e nel loro consolidamento con formazione, assistenza, prodotti, servizi, marketing, ricerca. Il franchising fatto bene è proprio questo: una collaborazione inclusiva tra grandi (franchisor) e piccole aziende (franchisee); la ricerca di un profitto “sostenibile”, che premi proporzionalmente e con equità sia l’affiliante che gli affiliati; l’applicazione di modelli di business efficienti, corretti e sperimentati, che non basino la propria redditività sul mero sfruttamento del lavoro ma, al contrario, valorizzino la professionalità di ciascun addetto e degli imprenditori affiliati. Ma tutto ciò non basta a garantire la sopravvivenza nel tempo di una rete in franchising. E’ indispensabile, infatti, che la soddisfazione di affiliante e affiliati passi attraverso quella, sovrana, dei consumatori o utenti finali dei prodotti e dei servizi di quella marca. Il gradimento dei clienti, manifestato attraverso gli acquisti, riempie le casse dei franchisee.
Questi, a loro volta, generano ricavi per il franchisor e lo mettono nella condizione di investire costantemente nel mantenimento e nel miglioramento di tutta l’organizzazione. I consumatori sono dunque al centro di un sistema interconnesso, costituito da piccoli imprenditori, dai loro collaboratori o dipendenti e da una impresa più grande e strutturata in grado di sostenere e guidare l’attività di tutta la rete di affiliati. La centralità dei consumatori è proprio uno dei temi presenti nell’Obiettivo 12 dell’Agenda 2030 che tende a “garantire modelli sostenibili di produzione e consumo”. Il franchising, può contribuire alla realizzazione di questo obiettivo in molti modi, tutti concreti e attuabili. Le reti distributive sono infatti il tramite tra la produzione e il consumo. Non un mero collegamento, tuttavia, ma un vero e proprio generatore di mode, di stili, di comportamenti di acquisto. In questo ruolo le marche affilianti e i loro affiliati possono fare molto, indirizzando sempre più i consumatori verso l’acquisto di prodotti sostenibili, sia dal punto di vista ecologico che da quello economico. Non è solo questione di “cavalcare” una tendenza con un bel “greenwashing” dell’offerta e della relativa comunicazione, ma di andare incontro in modo convinto ad un “sentimento comune” destinato a diffondersi sempre di più. Favorire il cittadino, aumentando le possibilità di scelta di consumo sostenibile, è senz’altro un ruolo importante che le reti di franchising possono svolgere. Ma non il solo. Dal lato della produzione le possibilità di manovra dei franchisor sono ancora più ampie. La forza di gruppo, i grandi volumi di acquisto, le economie di scala permettono di orientare la produzione, di ridefinire gli standard “pretendendo” un impegno significativo dei fornitori verso “la gestione sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali”. Inoltre alcuni franchisor (per esempio nel settore della ristorazione, della distribuzione alimentare o del tessile, giusto per citare alcune grandi categorie) possono farsi portatori verso i propri franchisee di alcune fondamentali istanze legate proprio all’Obiettivo 12: l’abbattimento sostanziale dello spreco alimentare e la riduzione drastica della produzione di rifiuti.
Nel primo caso, si tratta ad esempio di inserire nelle procedure standard delle reti soluzioni per diminuire le perdite di cibo durante le catene di fornitura, per recuperare e destinare a chi ne ha bisogno i prodotti al termine della giornata lavorativa, per recuperare e riutilizzare gli scarti delle lavorazioni. Nel secondo caso, i franchisor potrebbero agire lungo l’intera filiera che va dalla materia prima alla vendita finale al pubblico. Ridurre la quantità di rifiuti è possibile, ma è ancora più “facile” in sistemi fortemente e verticalmente integrati come quelli del franchising. A partire dalla riduzione del packaging o dall’uso di materiali riciclati, per proseguire con il recupero di prodotti usati e riciclabili sul punto vendita, le potenzialità delle insegne franchisor sono veramente ampie. Si tratta solo di cominciare un processo, il 2030 è alle porte e per il nostro pianeta, umanità compresa, il tempo per correre ai ripari comincia a scarseggiare.